Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie: confini, dispute, barriere doganali e sanitarie

Per secoli, il territorio italiano fu un mosaico di Stati, e la circolazione di persone e merci era intrinsecamente legata alle complesse linee di demarcazione che li separavano. Una delle frontiere più significative, e spesso contese, fu quella tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, un confine che si estendeva per circa 470 chilometri dal Mar Tirreno all’Adriatico

La storia di questo confine risale al VI secolo, quando i longobardi del Ducato di Benevento occuparono la parte dell’attuale provincia di Frosinone del Ducato Bizantino di Roma. Qualche secolo dopo, sotto i normanni, la stessa diventò “Terra di Lavoro”, all’interno dei confini del Regno di Sicilia

Italia nel 638 – immagine: edu.lascuola.it

La linea di confine sancita dal trattato del 1840 partiva dal Mar Tirreno, precisamente dalla foce del fiume Canneto, tra i territori di Fondi e Terracina. Da lì, attraversava le diverse attuali Regioni del Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche, per giungere fino al Mar Adriatico alla foce del fiume Tronto, vicino al ponte di barche di Porto d’Ascoli.

Questa “linea di demarcazione”, influenzò profondamente la vita quotidiana, il commercio e persino la salute pubblica creando problemi alla riscossione delle tasse, all’esatto estimo del territorio, alla lotta al brigantaggio e costringevano i proprietari frontalieri a doppie tassazioni. Non meno importanti erano i problemi che sorgevano in occasione di epidemie, come colera e peste. Già a metà del XVI secolo si registravano omicidi, ricatti, scaramucce tra le forze militari, incendi e arresti nelle terre contese.

Stato Pontificio 1849 con evidenziato il confine con il Regno delle Due Sicilie – immagine: collinedisantostefano.it

I Primi Tentativi di Definizione (fine XVIII – inizio XIX secolo)

Nel 1780, l’arrivo a Napoli del geografo Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, incaricato di disegnare l’Atlante Geografico del Regno di Napoli, diede un nuovo impulso alla descrizione del territorio.

Nel 1793, il re Ferdinando III di Borbone chiese al pontefice Pio VI il permesso di sconfinamento per Rizzi Zannoni. Pio VI propose di affiancare un geografo pontificio, Alessandro Ricci, per definire le controversie esistenti.

Tra il 1793 e il 1796, Ricci e Rizzi-Zannoni, con l’aiuto di ingegneri e guide locali (“indicatori”), iniziarono la rilevazione dalle aree tra Terracina e Fondi, proseguendo fino alla zona di Rieti. Questo lavoro si interruppe nel 1796 a causa delle campagne napoleoniche e dell’invasione francese dell’Italia.

Dopo un lungo periodo di interruzione, nel maggio 1819, si raggiunse un accordo per riprendere la confinazione dopo la Restaurazione. Il cardinale Ercole Consalvi, preoccupato per il clima creatosi ai confini a causa delle misurazioni per il nuovo catasto, prese l’iniziativa. Tuttavia, le trattative si bloccarono nuovamente a causa di profonde divergenze sui criteri di partenza: la parte napoletana proponeva la linea del febbraio 1806, mentre la parte pontificia insisteva sulla linea concordata sulle carte del 1793-1796.

I moti del 1820-1821 ritardarono ulteriormente l’inizio delle trattative.

Nel 1834, con l’imminente attivazione del catasto gregoriano (entrato in vigore il 1° gennaio 1835 senza che le controversie confinarie fossero risolte), la necessità di un confine chiaro divenne pressante. Il segretario di Stato Tommaso Bernetti sollecitò il nunzio apostolico a Napoli per risolvere la vertenza, citando problemi come l’amministrazione della giustizia, il contrabbando e le animosità tra le popolazioni.

Catasto gregoriano della città di Rieti

L’epidemia di colera del 1835 nel Regno Borbonico rese ancora più evidente l’urgenza di definire il confine. Lo Stato Pontificio istituì un “cordone sanitario terrestre” lungo la frontiera, evidenziando le difficoltà pratiche e i disordini causati dall’incertezza della linea di confine. Dogane importanti furono spostate o create, come quella di Santa Francesca nel 1851 presso il Comune di Veroli (FR).

Le Trattative Definitive e la Convenzione (1838-1840)

Le trattative conclusive iniziarono ufficialmente il 20 giugno 1838, sotto i regni di Ferdinando II delle Due Sicilie e Papa Gregorio XVI.

I plenipotenziari furono il cardinale Tommaso Bernetti e monsignor Pier Filippo Boatti per lo Stato Pontificio, e il marchese Francesco Saverio Del Carretto e il conte Giuseppe Costantino Ludolf per il Regno delle Due Sicilie.

Il Protocollo d’inizio trattative stabiliva di delimitare il confine seguendo il più possibile i confini naturali (fiumi, monti, valli) e, in assenza di essi, di usare “segni” artificiali come “piccole piramidi, o obelischi, o colonne di proporzionata consistenza”. Un principio fondamentale era mettere da parte i “rispettivi diritti” per concentrarsi sulla rettificazione della frontiera.

Le discussioni vertevano su 34 zone di “differenza di superficie”, ovvero territori contesi, che furono poi ridotte a 23 controversie, basate sulle rilevazioni di Rizzi-Zannoni e Ricci.

Durante queste trattative, ci furono anche proposte di scambio di territori, come Pontecorvo e Benevento per Leonessa, Cittaducale e Cantalice, che però fallirono per l’opposizione, in particolare, del cardinale Bartolomeo Pacca riguardo Benevento (dove era nato).

Un aneddoto significativo rivela l’urgenza e la serietà delle trattative: il marchese Del Carretto, ministro borbonico, dovette persino scontare una quarantena di quattordici giorni in un lazzaretto vicino a Rieti prima di poter raggiungere Roma per i colloqui, dimostrando l’importanza attribuita alla questione.

La conclusione di questi due anni di lavoro fu la firma della “Convenzione dei confini” a Roma il 26 settembre 1840.

Contenuto dell’Accordo del 1840

Il trattato mirava a “assicurare ai sudditi rispettivi il pacifico godimento delle terre confinanti”, garantendo che la nuova linea non avrebbe leso i diritti di proprietà preesistenti, ma avrebbe definito la giurisdizione statale e la conseguente tassazione.

Stabiliva che i limiti artificiali dovessero riportare lo stemma reale (il giglio) sul lato del Regno e lo stemma pontificio (le chiavi di San Pietro) sul lato dello Stato.

Specificava come definire il confine su montagne (punti più elevati) e valli (punti di maggior depressione). Per i corsi d’acqua, la linea confinaria si snodava nel mezzo del fiume o torrente, e rimaneva fissa anche se il corso d’acqua deviava, con la previsione di “controtermini” sulle sponde.

Prevedeva visite quinquennali della linea confinaria per verificarne lo stato e la fedeltà alle mappe.

Tra i cambiamenti territoriali, lo Stato Pontificio acquisì Tufo, Capodacqua, Casale Marino, Forcella e Vosci, mentre il Regno delle Due Sicilie ottenne Ancarano, Offejo, S. Martino, Trimezzo, Pietralta, Morice, Collegrato, Vignatico, Valloni e Villafranca. Le popolazioni di Ancarano protestarono temendo la coscrizione obbligatoria e l’aumento dei prezzi di sale e tabacchi.

La Convenzione fu ratificata da Gregorio XVI il 29 settembre 1840 e da Ferdinando II il 24 ottobre 1840.

Demarcazione Provvisoria con pali di legno (1840-1841)

La collocazione dei pali di legno provvisori iniziò il 30 ottobre 1840, sotto la supervisione degli ingegneri Pietro Lanciani (Pontificio) e Luigi De Benedictis (Napoletano).

Il lavoro fu arduo, soprattutto in montagna, e subì interruzioni a causa del maltempo. Il 29 settembre 1841, la demarcazione provvisoria fu completata con 664 pali in 649 punti.

Demarcazione Definitiva con termini di pietra (1846-1847)

A causa della rimozione dei pali lignei da parte di ignoti, si decise di procedere alla collocazione di cippi (o “termini”) in pietra. Furono installati 686 cippi, sebbene la numerazione effettiva andasse da 1 a 649, con alcune lettere aggiunte ad uno stesso numero per indicare termini intermedi. Queste colonne non erano posizionate a distanze regolari, ma seguivano la conformazione del terreno, essendo più fitte nelle aree irregolari e strategicamente collocate nei punti di transito o dove il confine faceva “spigolo”. 

Le colonnette erano di due tipi: di dimensione standard o “minori” erano alte circa un metro dal “radicone”. In modo più preciso, la parte esposta misurava 1,10 metri di altezza con un diametro di 40 centimetri, includendo un plinto di 10 cm e una modanatura piatta di 5 cm.

Le colonne più alte, o “maggiori”, potevano raggiungere un’altezza massima di 1,80 metri. Il loro diametro era di 45 cm. Queste colonne di dimensioni maggiori venivano posizionate in punti strategici o principali del confine, come Terracina, Ceprano, Rieti e alla foce del fiume Tronto.

Ogni cippo recava scolpito su un lato il giglio stilizzato borbonico (derivato dal fleur de lys della monarchia francese) e il numero progressivo del cippo sotto al giglio stesso, e sull’altro le chiavi decussate (incrociate) di San Pietro e l’anno di collocazione. Una scanalatura in cima indicava la direzione del confine attraverso la quale si poteva ritrovare il cippo precedente e quello successivo.

Sotto ogni cippo era interrata una cassa di legno che conteneva una medaglia in ghisa (“testimone”), di circa 10,7 cm di diametro e un chilogrammo di peso, recante gli stemmi dei due Stati e la dicitura ufficiale che ne attestava la funzione. Questa pratica era un caso unico nella storia della demarcazione dei confini. In una lettera di mons. Boatti dell’ottobre 1846 si afferma che tutte le medaglie sarebbero state fuse a Napoli ed il costo sarebbe stato diviso tra i due Governi.

Negli anni, molti dei cippi sono stati abbattuti per recuperare queste medaglie di cui restano soltanto pochi esemplari conosciuti ed esposti al pubblico. Esemplari della medaglia si trovano nella collezione Padoa nel Fondo Numismatico del Museo Centrale del Risorgimento conservato presso il Museo Nazionale Romano (Roma) e nella collezione Ricciardi conservata al Museo Nazionale di San Martino (Napoli). 

Cassa di legno con medaglia del confine

La posa dei primi 50 cippi iniziò il 9 novembre 1846 quando fu piantato il primo termine definitivo a Terracina sul versante tirrenico. Ad essa presenziarono il Commissario del governo pontificio il cav. Mondini per tutta l’operazione di demarcazione, mentre per parte napoletana i funzionari preposti cambiarono a seconda della giurisdizione confinante. Dopo una pausa invernale, l’operazione di posa fu dichiarata quasi terminata il 19 settembre 1847, con l’eccezione di un breve tratto (Tufo e Capodacqua) a causa di dissidi locali.

Pubblicazione e Atto Addizionale (1852)

La pubblicazione del trattato del 1840 fu ritardata di diversi anni, fino al 1852 (15 aprile nello Stato Pontificio, 5 aprile nel Regno), in attesa di un “atto addizionale” per la sua attuazione.

Questo “atto addizionale” (o “regolamento”), contenente 33 articoli, fu firmato il 14 maggio 1852 dal cardinale Giacomo Antonelli. Regolava problemi catastali, ipotecari e giudiziari, e stabiliva i diritti dei proprietari terrieri al confine, inclusa la libera circolazione di persone, prodotti e bestiame con un permesso gratuito. Stabiliva inoltre l’uso comune di strade, sentieri e corsi d’acqua che segnavano il confine. Fu pubblicato il 1° luglio 1852.

Provincie dello Stato Pontificio nel 1850

Le strade e le Dogane di confine

Le strade e le vie di comunicazione erano il cuore di questi confini. La “nazionale” Via Appia rappresentava una delle arterie principali, con le dogane pontificie a Terracina e quelle napoletane a Fondi. Altre vie provinciali cruciali includevano la Casilina tra Frosinone e Ceprano. Il passaggio di merci e persone era rigorosamente controllato, con l’obbligo di riscuotere tributi e rilasciare lasciapassare scritti. Dogane importanti erano situate a Casamari e, dal 1851, a Santa Francesca, che assunse il ruolo di dogana principale sostituendo quella di Veroli, considerata troppo “interna”. Le merci e il bestiame dovevano seguire percorsi specifici per l’introduzione e l’estrazione, pena la confisca.

Dogana “Salto del Cieco” – Ferentillo (Terni)

La storia di queste strade di confine non è solo fatta di commerci e tasse, ma anche di grandi emergenze e pericoli. Le aree di frontiera erano notoriamente infestate dal brigantaggio, che approfittava della fluidità dei confini per operare, depredando i viaggiatori e creando insicurezza. Per contrastare questo fenomeno, le autorità pontificie reclutavano squadriglieri locali – persone del posto che conoscevano bene sentieri e mulattiere – anche se alcuni di loro finirono per essere coinvolti in attività illecite o a favoreggiare i briganti. La presenza militare, inclusi i Zuavi Pontifici dal 1860, era costante, a volte sfociarono in collaborazioni con i briganti.

Il confine sanitario

Un capitolo a sé stante nella storia di queste “strade” invisibili fu l’istituzione dei cordoni sanitari terrestri. In seguito a una violenta epidemia di colera che colpì il Regno Borbonico nel 1835, lo Stato Pontificio eresse una doppia linea di controllo sanitario. Un “cordone infetto” fu posto direttamente a contatto con il confine, utilizzando e potenziando gli avamposti militari esistenti, mentre un “cordone sano” fu realizzato circa un miglio più all’interno dello Stato Pontificio, creando una “zona sosta merci” tra le due linee. 

Componenti chiave di questa rete erano i Gabbiotti Sanitari: strutture in muratura, spesso coincidenti con presidi militari, capaci di ospitare quattro-cinque persone. Gli addetti a questi gabbiotti avevano il compito vitale di controllare le persone provenienti dal Regno per impedire la diffusione del morbo. Il colera, che si manifestava con sintomi devastanti come diarrea “ad acqua di riso” e vomito, spinse a misure drastiche. Tuttavia, questi “argini”, apparentemente invalicabili, erano fragili e la loro violazione era frequente, causando rovina per le economie familiari dipendenti da spostamenti stagionali o piccoli commerci. La severità dei provvedimenti includeva pene dure anche per le guardie che “si imbrattassero” entrando in contatto con persone o merci sospette. Nonostante i cordoni, l’epidemia raggiunse lo Stato Pontificio nel 1837, ma alcune città, come Veroli, furono miracolosamente risparmiate, attribuendo il merito all’intercessione di Santa Salome.

Il confine pre-unitario tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, rimasto più o meno lo stesso per più di 700 anni, nonostante gli avvicendamenti di regnanti e casati europei, fu l’ultimo confine a cadere in Italia fino alla caduta di Gaeta, il 6 febbraio 1861 e fino all’ultima fortezza di Civitella del Tronto, il 20 marzo 1861

Fortezza di Civitella del Tronto (Teramo)

Ancora oggi, circa la metà dei cippi originali è sopravvissuta e, in molti casi, segna i confini comunali, provinciali e regionali attuali della Repubblica Italiana. Ad esempio, il confine odierno tra Umbria e Lazio, nel tratto tra Monte Pozzoni (Pizzuto) e Forca di Rescia, coincide con la vecchia linea di demarcazione. Il cippo n. 176, di dimensioni maggiori, segna ancora oggi il punto di confluenza dei confini di Sora, Castelluccio di Sora (oggi Castelliri) e Monte San Giovanni (oggi Monte San Giovanni Campano).

Molti dei cippi sono stati rimossi o spostati e riutilizzati in modo improprio per scopi diversi, come paracarri, pietre d’angolo di casolari, in chiostri o cimiteri, basamenti per statue, tavoli o croci di ferro. Le strutture accessorie al confine, come gli avamposti militari e i “gabbiotti sanitari”, si presentano oggi parzialmente diroccate, spesso appena affioranti dal terreno e coperti da vegetazione. L’abbattimento è stato voluto sia dalle autorità pontificie per impedire che diventassero rifugi per i briganti, sia dai briganti stessi per avere maggiore libertà di movimento. Successivamente, l’azione di repressione dei piemontesi dopo la “presa di Porta Pia” (1870), fece saltare in aria ogni costruzione idonea a fungere da rifugio per i briganti. 

In alcuni comuni, le istituzioni hanno posizionato una segnaletica per visualizzare la vecchia linea di confine. Attività di recupero e riposizionamento dei cippi sono note, sebbene talvolta non sempre con un’analisi scientifica rigorosa della loro posizione originale.

Fonti

Tullio Aebischer: Testimone del confine Pontificio

Tullio Aebischer: La tutela cartografica del confine Pontificio Napoletano – Bollettino A.I.C. nr. 144-145-146 / 2012

Associazione Lamasena: Avamposti e gabbiotti sanitari lungo la linea di confine tra Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie

Associazione Lamasena: Dogana di Santa Francesca

Radio l’Aquila: Storia e ricerche sul Regno delle Due Sicilie: Progetto “Cippi Antichi Confini”

Libro: TESTIMONI DI PIETRA. Storia del confine tra Regno delle Due Sicilie e Stato Pontificio

Foto e posizione dei cippi

Una segnalazione particolare va al lavo svolto (e tutt’ora in corso di svolgimento) da parte di Giuseppe Albrizio che con passione ha fotografato, catalogato e geolocalizzato, quasi tutti i cippi del confine tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie e ha messo il suo lavoro a disposizione sul suo sito web: Le Mie Passeggiate.