Il paesaggio toscano è punteggiato da strutture imponenti e distintive, note come Colonne Lorenesi o Colonne Leopoldine. Queste maestose colonne segnaletiche, commissionate nel 1840 da Leopoldo II di Lorena, non sono semplici indicatori stradali, ma rappresentano un simbolo tangibile dell’impegno dell’amministrazione lorenese nel modernizzare e migliorare il territorio. La loro realizzazione si inserisce in un più ampio contesto di riforme illuminate che caratterizzarono il Granducato di Toscana nel XVIII e XIX secolo.
Il contesto storico
Francesco I (Stefano) di Lorena: 1708 – 1765
Leopoldo II d’Asburgo-Lorena: 1747 – 1790 noto anche come Pietro Leopoldo I di Toscana
Ferdinando III di Toscana: 1769 – 1824
Leopoldo II di Toscana: 1797 – 1870
Vedi anche gli Asburgo-Lorena in Toscana
La dinastia degli Asburgo-Lorena subentrò al governo del Granducato di Toscana nel 1737 (dopo la morte di Gian Gastone de’ Medici), con Francesco I Stefano di Lorena che si insediò come nuovo Granduca all’età di 29 anni. Durante questo primo periodo lorenese, si iniziò a lavorare al risanamento del bilancio e ad alcune riforme. Tra le più significative si ricorda il primo censimento della popolazione (1745), l’applicazione di alcune tasse anche al Clero (finora esente da tutto), la legge sulla stampa (1743), la regolamentazione dei fidecommessi e della manomorta ecclesiastica (1747, 1751), l’abolizione formale dei feudi (1749), la legge sulla nobiltà e cittadinanza (1750), la piena accettazione del calendario gregoriano con l’anticipo del capodanno dal 25 marzo al primo di gennaio (1750).
Un’epoca di riforme molto più incisiva ebbe inizio con il successore, Pietro Leopoldo I, che divenne Granduca nel 1765. Nono dei sedici figli di Maria Teresa d’Asburgo e dell’imperatore Francesco I di Lorena, Pietro Leopoldo governò fino al 1790 e fu un chiaro esempio di “sovrano illuminato”. La sua amministrazione si distinse per un vasto programma di riforme con una forte propensione agli scopi pratici. Tali riforme spaziavano dall’ambito economico e fiscale, con l’abolizione delle vecchie ripartizioni feudali, l’introduzione di una politica liberista e fisiocratica, l’abolizione dei vincoli annonari sul commercio dei grani e la liquidazione delle corporazioni medievali, fino alla riforma del sistema fiscale con la riscossione diretta delle imposte.

Già nel 1770, Pietro Leopoldo promosse un nuovo ordinamento riguardante la viabilità, istituendo la distinzione tra strade Regie e Comunitative e imponendo un metodo di costruzione per favorire il drenaggio.
In campo giudiziario, Pietro Leopoldo apportò modifiche significative alla legislazione toscana. La riforma più importante fu l’abolizione degli ultimi retaggi giuridici medievali, inclusi il reato di lesa maestà, la confisca dei beni, la tortura e, soprattutto, la pena di morte, attraverso il varo del nuovo codice penale del 1786, noto come Riforma criminale toscana o Leopoldina. La Toscana divenne così il primo Stato al mondo ad abolire formalmente la pena di morte.
Lo sviluppo della rete stradale
La cattiva amministrazione del territorio degli ultimi Medici aveva generalmente reso inagibile la già insufficiente viabilità della Toscana. Uno degli ambiti cruciali dell’amministrazione lorenese fu il riordino e il potenziamento del sistema viario non solo per usi militari, ma anche e principalmente per sviluppare il commercio dei prodotti agricoli. Già dalla seconda metà del Settecento, Pietro Leopoldo e suo figlio Ferdinando III promossero questo sviluppo. L’opera proseguì con grande vigore nella prima metà del secolo successivo, in particolare sotto il regno di Leopoldo II.
Tra il 1824 e il 1859, durante il governo di Leopoldo II, furono completati circa tremila nuovi chilometri di strade aumentando la rete stradale toscana di circa il 50%, ponendo la Toscana e la qualità della sua viabilità ai primi posti in Europa. Le strade erano classificate in base alla competenza amministrativa per la loro gestione: maestre o regie postali (di lunga comunicazione a cura del governo), comunitative (collegavano le varie città o paesi, a cura dei comuni), vicinali (tra varie proprietà, a cura dei proprietari che le usavano). Con una rete stradale così estesa, che affiancava alle strade regie (che partivano dalla capitale Firenze) una fitta rete di strade provinciali e locali, i viaggiatori potevano facilmente incorrere in errori di percorso. Inizialmente, nei punti nodali, vennero collocate lapidi di marmo sulle pareti esterne degli edifici per indicare le direzioni. Tuttavia, in mancanza di edifici, ad esempio in aperta campagna, si optò per la disposizione di indicatori stradali simili a obelischi. È in questo contesto che nel 1840 furono commissionate le colonne granducali note anche come Colonne Leopoldine.

La realizzazione delle Colonne Leopoldine
Le colonne furono realizzate seguendo un unico modello, anche se l’autore del progetto non è certo. Alcune fonti lo attribuiscono a Giuseppe Manetti (Firenze, 1761-1817), mentre più spesso viene indicato come autore Alessandro Manetti (1787-1865), ingegnere fiorentino e figlio di Giuseppe, in collaborazione con l’architetto italo-austriaco Carlo Reishammer (1806-1883).
Alessandro Manetti, all’epoca a capo del Corpo degli ingegneri di acque e strade del Granducato, collaborava spesso con Reishammer, suo genero, che lavorava come progettista presso le Imperiali Regie Fonderie di Follonica ed era noto per il suo utilizzo innovativo della ghisa. Proprio per questo motivo, si ritiene che Reishammer abbia avuto un ruolo particolarmente rilevante nella progettazione delle colonnine, anche se non è possibile identificare con certezza l’autore definitivo del disegno.
Il progetto prevedeva l’unione di elementi in pietra, realizzati direttamente sul posto seguendo disegni predefiniti, ed elementi in ghisa, prodotti in serie tramite fusione negli stampi presso la fonderia di Follonica.
Esse consistevano in una base a pianta triangolare equilatera con gli angoli smussati, collegata al fusto monolitico attraverso una modanatura ornata in ghisa. Il grande capitello era anticipato da una seconda fascia in ghisa con elementi modulari decorati. I lati del capitello, anch’esso triangolare, ospitavano le lapidi direzionali con una freccia e il nome del luogo verso il quale ci si stava dirigendo, scolpito a mano con il carattere “Bodoni”, dal nome del tipografo piemontese Giovan Battista Bodoni. L’indicatore terminava in alto con una sfera in ghisa provvista di puntale. Queste decorazioni rappresentavano un elemento di particolare interesse artistico e anticipavano lo stile decorativo del Liberty.
La parte di pietra veniva ottenuta dalla cava più vicina al luogo designato a ospitare la colonna, stabilita nello specifico capitolato. Per quelle aretine si utilizzò l’arenaria serena. Le lapidi erano di marmo di Carrara, mentre le parti in ghisa, fatte in serie, provenivano dalle Fonderie di Follonica.
Sono rimaste 19 colonne leopoldine ancora visibili rispetto alle decine posizionate in passato (il numero totale è imprecisato). Alcune, negli ultimi anni sono state oggetto di restauro.
Simbolo di unificazione e progresso
Oltre alla loro funzione pratica come punti di riferimento per i viaggiatori, le colonne leopoldine avevano anche un forte valore simbolico. Rappresentavano il legame tra le comunità toscane e diventavano un segno concreto di unificazione e progresso. La loro presenza dimostrava l’attenzione che l’amministrazione lorenese dedicava allo sviluppo delle infrastrutture stradali e, più in generale, al miglioramento del territorio.

La costruzione della rete stradale e l’installazione delle colonne segnavia riflettono infatti una visione politica ampia e moderna. Non si trattava solo di promuovere la crescita economica o di riformare le leggi, ma anche di migliorare concretamente la qualità della vita, soprattutto nelle aree rurali del Granducato.
Sebbene semplici nella forma, le colonne leopoldine sono diventate simboli duraturi di un’epoca di grandi trasformazioni. Rappresentano la continuità dello spirito riformatore della dinastia lorenese in Toscana, dal Granduca Pietro Leopoldo I fino al nipote Leopoldo II. Ancora oggi, queste strutture raccontano l’impegno a costruire un sistema viario efficiente e a promuovere lo sviluppo del territorio, lasciando un’eredità tangibile che collega il passato riformista al paesaggio toscano contemporaneo.